3 Maggio 2013
Fermiamoci un attimo. Arrestiamo il convulso scorrere di notizie che il tempo divora freneticamente facendole diventare “vecchie” il giorno dopo. Riflettiamo e cerchiamo di distinguere affrontando con spirito realistico e solidale le sfide in cui la società delle “nuove povertà” ci ha immerso. Ho ancora negli occhi il grido della folla contro il sindaco e le istituzioni ai funerali dei tre familiari che poche settimane fa si sono tolti la vita a Civitanova preda dell’angoscia di non riuscire a tirare avanti. Un gesto terribile, un dramma umano, indotto a quanto sembra dalla mancanza di lavoro e di dignità che ne consegue, esploso in tutta la sua tragicità senza preavviso, senza che qualcuno percepisse i segnali di disagio e approntasse una rete di aiuti. I classici “vicini di casa” che tutti potremmo avere ma di cui forse ignoriamo i veri problemi. Eppure, la reazione istintiva della gente, pare non sia stata quella di domandarsi “cosa fare per evitare” simili situazioni ma fischiare coloro che hanno responsabilità della cosa pubblica. Urlare va di moda e magari, per certi versi, è pure giustificato. Ma non ci si può limitare a questo. Noi sindaci siamo esposti in prima persona, viviamo a contatto con la popolazione, ne ascoltiamo la disperazione, siamo disposti a beccarci gli insulti ma anche a offrire sostegno, pur avendo le armi spuntate in termini di risorse rispetto alle proporzioni enormi del problema sociale. E sappiamo molto bene che i cittadini in seria difficoltà economica sono ben più numerosi di quelli che si lamentano apertamente e che i casi più gravi sono forse proprio quelli che, per dignità e vergogna, non escono allo scoperto. E allora l’invito che rivolgo a tutti, indistintamente, è quello di trovare da un lato il coraggio di effettuare segnalazioni e di rivolgersi ai nostri servizi sociali che non faranno mancare ascolto, attenzione e gli interventi assistenziali che in quanto Comune siamo in grado di attivare; d’altro lato sollecitiamo rispetto, senso della misura, lealtà. E un ritorno ai valori del passato, quando ci si tendeva la mano, ci si aiutava l’un l’altro, creando una rete di solidarietà efficace che non lascia “soli”. Come ha detto don Aldo Bonaiuto, il prete coraggio che esplica la sua missione per strada fra gli emarginati, rischiamo il collasso sociale perché troppo spesso si declina il motto “mors tua, vita mea” e accanto alla povertà materiale c’è una povertà morale che conduce a isolare il prossimo. Ma questa responsabilità di “riconoscerlo” l’abbiamo tutti, indipendentemente dalla carica e dal ruolo che rivestiamo. E tutti ora pretendiamo un Governo forte, uno Stato e una politica con la “p” maiuscola che faccia scelte oculate, la smetta di nascondersi nei privilegiati meandri di Palazzo e dia esempio e impulso a una ripresa morale ed economica.
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